Le battaglie per l’inclusione, la parità di diritti, la conoscenza e contro la discriminazione passano – anche – attraverso il linguaggio e la scelta delle parole o espressioni che utilizziamo.
L’uso di una parola piuttosto che un’altra può contribuire a perpetuare concetti o idee sbagliate: per fare un esempio, quante persone usano “ciclo mestruale” per riferirsi alle mestruazioni quando – invece – il ciclo mestruale è un periodo di tempo composto da 4 fasi di cui solo una è quella mestruale? Quante persone, per colpa di questo uso improprio del termine, non sanno la differenza tra ciclo mestruale e mestruazioni?
In questo post, però, andremo a riflettere insieme su di una questione più spinosa: l’abbiamo analizzata e per poter offrire una valutazione che tenesse in considerazione non solo la nostra personale opinione ma anche le regole della linguistica e della lessicografia abbiamo chiesto il parere non di una ma di due linguiste.
Andiamo, con ordine, a spiegare cos’è successo.
La definizione di integrità e la brutta sorpresa sul vocabolario Treccani
Qualche giorno fa per la stesura di un articolo mi serviva citare la definizione italiana della parola “integrità” che ho cercato sul vocabolario Treccani online: con grande stupore / indignazione, tra le accezioni di questo termine ho trovato la seguente:
“[…]i. di un corpo (umano), l’esser sano, illeso, atto a tutte le sue funzioni; e con riferimento allo stato di verginità della donna: i. dell’imene, i. verginale […]”
Abbiamo già dedicato un approfondimento per smontare la falsa credenza che l’imene intatto sia simbolo di verginità: l’imene è una membrana la cui funzione è proteggere la vagina da feci, sporcizia e detriti dalla nascita e per i primi 2/3 anni di vita delle bambine; verso i 24/36 mesi questa membrana comincia ad assottigliarsi e lacerarsi perché il suo compito è ormai concluso, è infatti in questo periodo che i bambini smettono di usare il pannolino e quindi il tempo che le parti intime restano in contatto con feci, urina e sporcizia diminuisce.
L’imene ha quindi una importante funzione legata all’igiene nei primi 2/3 anni di vita; dopo perde qualsiasi funzionalità ed è per questo che va naturalmente sparendo tanto che, nella prima adolescenza, spesso l’imene è già quasi del tutto lacerato; in ogni caso, è anche possibile il contrario, ovvero che una persona con una vita sessuale attiva dopo anni presenti ancora un imene parzialmente intatto.
Sull’argomento c’è un interessante TED Talk, “The Virginity Fraud” (in italiano: “L’imbroglio della verginità“) durante il quale Nina Dølvik Brochmann ed Ellen Støkken Dahl spiegano perché imene (intatto o meno) e verginità non siano legati in alcun modo.
Qualunque sia la condizione dell’imene, quindi, questa non ha nulla a che vedere con la verginità che in una donna non è possibile stabilire anatomicamente; per usare le parole delle la dott.ssa Gunter: “Il sanguinamento con il primo rapporto sessuale penetrativo NON è comune, quindi quando la religione e la cultura esigono la presenza del sangue come ‘prova’ di purezza delle donne stanno in realtà esigendo che le donne vengano ferite come falso segno di purezza.”
Trovare quindi l’esempio di “integrità dell’imene” in un dizionario così importante come Treccani mi ha stupita; ho pensato, infatti, che nessun dizionario sotto la parola “autismo” come esempio d’uso metterebbe “i vaccini causano autismo” poiché si tratta di una pericolosa bugia che la scienza ha più volte smentito (sebbene molte persone, purtroppo, ancora credano che sia vero).
Perché quindi usare “l’integrità dell’imene” come esempio d’uso se si tratta di un concetto sbagliato, nonostante moltissime persone ancora credano che un imene intatto sia sinonimo di verginità?
Questa riflessione ha fatto nascere una serie di domande:
- qual è il ruolo di un dizionario? Deve riportare questi esempi perché usati dai parlanti (ovvero coloro che “fanno” la lingua) sebbene siano sbagliati?
- Nel caso di voler usare un esempio del genere non dovrebbe esserci una sorta di “disclaimer” (come un’etichetta) per indicare che si tratta di un uso improprio?
Ho pensato quindi di porre queste domande a chi poteva davvero aiutarmi a capirne di più, e si tratta di due esperte:
- Vera Gheno, traduttrice e sociolinguista. Gestisce la parte linguistica del profilo Twitter di Zanichelli, insegna come docente a contratto all’Università di Firenze (Laboratorio di italiano scritto per Scienze Umanistiche per la Comunicazione), autrice di diversi libri e pubblicazioni
- Manuela Manera, PhD in Italianistica, docente e linguista, si interessa di Gender Studies e del rapporto tra narrazioni e società. Dal 2017 fa parte del comitato scientifico del CIRSDe – Centro Interdisciplinare di Ricerche e Studi delle Donne e di Genere dell’Università di Torino ed è autrice di varie pubblicazioni
Ci tengo a ringraziarle moltissimo per il tempo che mi hanno dedicato mettendo a disposizione la loro esperienza sull’argomento; di seguito scoprite cosa ne pensano!
Il parere di Vera Gheno
“Secondo me Treccani paga l’anzianità: per quel che so sono diversi anni che non viene aggiornato il dizionario online. La data però non è esplicitata da nessuna parte, e questo rende difficile fare valutazioni sul contenuto.
Lo Zingarelli, che è annualizzato, ha indubbiamente una definizione e degli esempi d’uso più neutri.
Di certo, una decina di anni fa si faceva molta meno attenzione a queste questioni, quindi, a mio avviso, se si tiene conto del dato cronologico, è più comprensibile come mai Treccani riporti un esempio d’uso scientificamente obsoleto.
Normalmente, le accezioni in disuso o improprie, se per qualche motivo devono comunque essere presenti, vengono segnalate, nel dizionario, tramite una marca d’uso; in questo caso abbiamo un esempio d’uso antiquato ed evidentemente non aggiornato in tempi recenti, per cui manca anche una specifica segnalazione.
La revisione di un dizionario è lunga e minuziosa e non è strano, dal mio punto di vista, che ci siano esempi inadatti al presente; è bene segnalarli alle opere lessicografiche, anche per portare l’attenzione dei lessicografi su particolari che possono sfuggire, ma che invece sono importanti.”
[Proprio su questo argomento Vera Gheno ci segnala un suo articolo: “Sessismo linguistico, quanto è facile sbagliarsi: serve una riflessione collettiva”]
Il parere di Manuela Manera
“Io credo che:
1) ci sia un problema di aggiornamento degli strumenti; le revisioni sono in atto, ma ci vuole tempo. Nell’immediato, si potrebbe ovviare aggiungendo in automatico al fondo delle pagine la data dell’ultimo aggiornamento.
Dunque se leggessi a piè pagina sotto alla definizione di ‘integrità’ che la compilazione della voce risale a quasi dieci anni fa, ecco, già avrei uno strumento in più che mi mette in allerta su come devo collocare quella voce e (soprattutto) i suoi usi. Mentre la totale assenza di una data mi offre quella definizione come assoluta e valida in tutto e per tutto ancora oggi.
2) Ci sia un problema di assenza di marche d’uso che possano indirizzare chi legge a interpretare se quello che ha davanti è un uso consigliato e oggi ritenuto (politicamente, socialmente) corretto oppure, al contrario, se si tratta di ‘un rimasuglio’, testimonianza di una mentalità che oggi viene considerata offensiva.
Deve sicuramente esserci anche la definizione ‘vecchia’, ovviamente, per permetterci di interpretare la lettura di documenti del passato e dar conto della storia della lingua (che è la storia della società stessa); ma deve essere espresso chiaramente anche in quali contesti un certo significato / uso era / è valido. Più che di un posizionamento politico, la metterei sul piano della lessicografia ben fatta…
3) Ci sia un problema di ambiguità: chi compila le voci di un dizionario lo fa con l’intenzione di registrare l’uso delle parole, mentre chi consulta un dizionario lo fa spesso in modo prescrittivo, chiedendosi: ‘posso usare oppure no questa parola?‘.
Perciò: se mancano le marche d’uso che mi indirizzano, continuerò a usare una certa espressione in modo ‘acritico’, per come mi viene indicato sul dizionario (cfr. la questione dei nomi delle professioni declinate al femminile: quando si sente dire ‘ah, ma sul dizionario non c’è… / è scritto che si usa avvocato anche per il femminile‘, e qui si ritorna al primo punto).
In definitiva, io credo che, nei dizionari, sia necessario aumentare le informazioni legate ai contesti d’uso delle parole, per rendere più chiaro a cosa si fa riferimento se si utilizza un’espressione al posto di un’altra; così come è stato fatto, per esempio, per ‘negro’, sempre su Treccani.
Se c’è stato un aggiornamento sul piano delle parole legate al razzismo, questo lavoro manca ancora quasi del tutto per le espressioni legate al sessismo.
Dunque, sono d’accordo con quanto dici: si dovrebbe mettere un bel ‘impropr’. (o ‘erroneamente’, ‘nella mentalità comune’) vicino a ‘e con riferimento allo stato di verginità della donna: i. dell’imene, i. verginale‘.
[Ad altre definizioni di Treccani – questa volta quelle che si riferiscono alle parole “donna” e “uomo” – Manuela Manera ha recentemente dedicato questa riflessione].
In conclusione
Ringraziamo di nuovo tantissimo Vera Gheno e Manuela Manera per aver dedicato del tempo a noi e a chi ci legge per fare chiarezza sulla questione.
Avendo ora compreso quali possono essere le cause che hanno portato Treccani a utilizzare quell’esempio sotto la parola “integrità”, abbiamo compreso anche che basterebbe semplicemente aggiornare la pagina con la data di quando è stata compilata per darci uno strumento in più che ci aiuti a capire quanto la definizione possa essere compatibile con il suo uso nel momento attuale (e questa non lo è).
Ce la facciamo a far arrivare il messaggio a Treccani per chiedere che a quella accezione venga aggiunta un’etichetta d’uso che faccia capire che si tratta di un concetto improprio, retaggio di pregiudizio rivelatosi infondato?
Anche Hoepli, recentemente, lo ha fatto con la parola “diverso”: tra i sinonimi continuerà ad apparire la parola “omosessuale” ma ne verrà specificato l’uso ormai desueto.
Nel 2021 per questi cambiamenti non si può più aspettare.
Aggiornamento e lieto fine (26 marzo 2021)
Una volta pubblicato questo post lo abbiamo segnalato sulle nostre pagine di Facebook e Instagram rivolgendoci direttamente a Treccani (con un mention ai suoi profili ufficiali); dopo poco ci ha risposto su Instagram:
In effetti, pochissimi giorni dopo, la definizione di “Integrità” è stata aggiornata sul loro dizionario online in questo modo: “e, come riflesso di credenze forse ancora comuni ma errate, con riferimento allo stato di verginità della donna“.
Vogliamo ringraziare Treccani per aver ascoltato la nostra richiesta e per aver rapidamente modificato la definizione in modo facilmente comprensibile per tutti!